Language of document : ECLI:EU:C:2024:563

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 27 giugno 2024 (1)

Cause riunite C123/23 and C202/23 [Khan Yunis e Baadba] (i)

N.A.K.,

E.A.K.,

Y.A.K. (C123/23)

M.E.O. (C202/23)

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden, Germania)]

(Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Asilo –Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Domanda di protezione internazionale – Motivi di inammissibilità – Articolo 33, paragrafo 2, lettera d) e articolo 40 – Domanda reiterata di protezione internazionale – Circostanze in presenza delle quali una domanda reiterata può essere dichiarata inammissibile – Possibilità di dichiarare inammissibile una domanda reiterata presentata dopo che una procedura di asilo relativa a una domanda precedente dell’interessato è stata conclusa da un altro Stato membro)






I.      Introduzione

1.        Le domande di pronuncia pregiudiziale di cui trattasi vertono sull’interpretazione del motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32/UE (2). La disposizione in parola consente agli Stati membri di dichiarare inammissibili, a determinate condizioni, le «domande reiterate». Ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della stessa direttiva, le «domande reiterate» sono le domande di protezione internazionale presentate «dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente» presentata dalla stessa persona.

2.        Entrambe le disposizioni tacciono sulla questione se detto motivo di inammissibilità possa essere applicato solo in un contesto in cui le due domande sono esaminate dallo stesso Stato membro o anche in una situazione che coinvolge più Stati membri, qualora la precedente procedura di asilo sia stata espletata da uno Stato membro (Stato membro A) diverso da quello dinanzi al quale è presentata la «domanda reiterata» (Stato membro B).

3.        Nell’ambito dell’ordinamento tedesco, il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati, Germania; in prosieguo: l’«Ufficio federale») può, se sono soddisfatti determinati criteri, dichiarare inammissibile una domanda di protezione internazionale presentata dinanzi ad esso «dopo l’esito negativo di una procedura di asilo», riguardante lo stesso richiedente, in un altro Stato membro. Il Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden, Germania) chiede se una siffatta disposizione sia compatibile con l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa.

4.        La Corte è già stata chiamata a pronunciarsi sul tema in questione (3). Tuttavia, nelle precedenti occasioni essa ha limitato le sue constatazioni alle particolari situazioni in cui la decisione definitiva su una domanda precedente dell’interessato era stata adottata da uno Stato terzo o da uno Stato membro che, pur applicando il regolamento (UE) n. 604/2013 (4), non era vincolato dalla direttiva 2013/32 né dalla direttiva 2011/95/UE (5) (ossia la Norvegia e la Danimarca). Con le presenti cause la Corte è invitata a esaminare l’applicazione del motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 nell’ipotesi in cui la stessa persona presenti una dopo l’altra più domande di protezione internazionale in diversi Stati membri che partecipano a pieno titolo al sistema europeo comune di asilo.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione europea

5.        L’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32 definisce l’espressione «domanda reiterata» come «un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda e nel caso in cui l’autorità accertante abbia respinto la domanda in seguito al suo ritiro implicito ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1», della medesima direttiva.

6.        L’articolo 33 della direttiva 2013/32, intitolato «Domande inammissibili», così dispone:

«1.      Oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento [Dublino III], gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95], qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo.

2.      Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

(…)

d)      la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]; o

(…)».

7.        Ai sensi dell’articolo 40 di detta direttiva, intitolato «Domande reiterate»:

«1.      Se una persona che ha chiesto protezione internazionale in uno Stato membro rilascia ulteriori dichiarazioni o reitera la domanda nello stesso Stato membro, questi esamina le ulteriori dichiarazioni o gli elementi della domanda reiterata nell’ambito dell’esame della precedente domanda o dell’esame della decisione in fase di revisione o di ricorso, nella misura in cui le autorità competenti possano tenere conto e prendere in considerazione tutti gli elementi che sono alla base delle ulteriori dichiarazioni o della domanda reiterata in tale ambito.

2.      Per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95].

3.      Se l’esame preliminare di cui al paragrafo 2 permette di concludere che sono emersi o sono stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95], la domanda è sottoposta a ulteriore esame a norma del capo II. Gli Stati membri possono prevedere che una domanda reiterata sia sottoposta a ulteriore esame anche per altre ragioni.

(…)

5.      Se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame ai sensi del presente articolo, essa è considerata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d).

(…)

7.      Se una persona nei cui confronti deve essere eseguita una decisione di trasferimento ai sensi del regolamento [Dublino III] rilascia ulteriori dichiarazioni o reitera la domanda nello Stato membro che provvede al trasferimento, le dichiarazioni o le domande reiterate sono esaminate dallo Stato membro competente ai sensi di detto regolamento, conformemente alla presente direttiva».

B.      Diritto tedesco

8.        Le principali norme di carattere sostanziale e procedurale in materia di procedure di asilo sono contenute nell’Asylgesetz (legge in materia di asilo) del 26 giugno 1992 (BGBl. 1992 I, pag. 1126), come pubblicato il 2 settembre 2008 (BGBl. 2008 I, pag. 1798), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: l’«AsylG»).

9.        L’articolo 29 dell’AsylG, intitolato «Domande inammissibili», prevede quanto segue:

«(1)      Una domanda di asilo è inammissibile quando:

(…)

5.      nel caso di una domanda reiterata ai sensi dell’articolo 71 o di una seconda domanda ai sensi dell’articolo 71a, non deve essere instaurato un ulteriore procedimento di asilo».

10.      L’articolo 71a dell’AsylG, intitolato «Seconda domanda», così recita:

«(1)      Se, dopo l’esito negativo di un procedimento d’asilo in uno Stato terzo sicuro (articolo 26a) al quale si applica la legislazione [dell’Unione] in materia di competenza giurisdizionale relativa all’espletamento delle procedure d’asilo o con cui la Repubblica federale di Germania abbia concluso un trattato internazionale in materia, lo straniero presenta una domanda d’asilo (seconda domanda) nel territorio della Repubblica federale di Germania, si procede ad un ulteriore procedimento d’asilo solo qualora la Repubblica federale di Germania sia competente per l’espletamento del procedimento d’asilo e se sono soddisfatti i presupposti di cui all’articolo 51, paragrafi da 1 a 3, del Verwaltungsverfahrensgesetz [Legge sulla procedura del contenzioso amministrativo, nella versione pubblicata il 23 gennaio 2003 (BGBl. 2003 I, pag. 102) (in prosieguo: il «VwVfG»]; la verifica spetta all’Ufficio federale».

11.      Il VwVfG contiene disposizioni generali concernenti i procedimenti amministrativi delle autorità pubbliche. L’articolo 51, paragrafi 1 e 2, di tale legge prevede quanto segue:

«(1)      Su istanza dell’interessato, l’autorità amministrativa è tenuta a decidere in merito all’annullamento o alla modifica di un atto amministrativo non impugnabile nel caso in cui:

1.      la situazione di fatto o di diritto alla base dell’atto amministrativo sia successivamente mutata a favore dell’interessato;

2.      siano emersi nuovi elementi di prova che avrebbero condotto ad una decisione più favorevole all’interessato;

3.      sussistano le cause di riapertura del procedimento previste dall’articolo 580 della Zivilprozessordnung [codice di procedura civile]».

(2)      La domanda è ammissibile solo qualora l’interessato non fosse in grado, senza colpa grave, di far valere il motivo della riapertura nel procedimento precedente, in particolare tramite rimedi giuridici».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

A.      Causa C123/23

12.      I ricorrenti nel procedimento principale, N.A.K, E.A.K. e Y.A.K., sono apolidi di origine palestinese che vivevano nella Striscia di Gaza. N.A.K, nata nel 1985, è madre di E.A.K e di Y.A.K.

13.      I ricorrenti, secondo quanto dai medesimi dichiarato, hanno fatto ingresso nella Repubblica federale di Germania l’11 novembre 2019, facendo richiesta di asilo il 15 novembre seguente. Le loro domande sono state formalmente registrate dall’Ufficio federale il 22 novembre 2019.

14.      N.A.K. ha dichiarato di aver lasciato la Striscia di Gaza con i propri figli nel 2018, a seguito di persecuzioni commesse da Hamas a causa delle attività politiche svolte da suo marito, e di aver, insieme ai figli, raggiunto la Germania passando, tra l’altro, per la Spagna ed il Belgio. Essi avevano vissuto in Belgio per circa un anno presentando ivi domanda di protezione internazionale.

15.      N.A.K. ha altresì indicato che suo marito aveva fatto ingresso nel 2014 nella Repubblica federale di Germania, dove aveva presentato domanda di protezione internazionale. Tuttavia, quest’ultima era stata respinta con decisione del 31 marzo 2017.

16.      L’Ufficio federale ha formulato una richiesta di ripresa in carico, in applicazione degli articoli 23, 24 e 25 del regolamento Dublino III, alle autorità spagnole competenti. Con lettera del 28 novembre 2019, tali autorità hanno respinto la richiesta in parola rilevando di non essere competenti per l’esame delle domande di N.A.K. e dei suoi figli.

17.      L’Ufficio federale non ha formulato una richiesta di ripresa in carico alle autorità belghe. Tuttavia, esso ha inviato una richiesta di informazioni a tali autorità, in applicazione dell’articolo 34 del regolamento Dublino III, che mira a facilitare la condivisione di informazioni tra gli Stati membri.

18.      Nella loro risposta, datata 5 marzo 2021, le autorità belghe hanno comunicato che N.A.K. aveva presentato una domanda di protezione internazionale in Belgio il 21 agosto 2018. Tuttavia, la sua domanda era stata respinta il 5 luglio 2019, all’esito di un esame nel merito. Dette autorità hanno rilevato, nel corso della procedura di asilo dinanzi ad esse, l’assenza di prove sufficienti quanto al fatto che N.A.K. rischiasse di subire persecuzioni o un danno grave nel proprio paese d’origine. Inoltre, le stesse avevano stabilito che, quando fosse ritornata nella Striscia di Gaza, N.A.K. avrebbe potuto chiedere la protezione o l’assistenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (in prosieguo: l’«UNRWA»).

19.      Le autorità belghe hanno inoltre indicato che N.A.K. non aveva impugnato tale decisione, che era quindi divenuta definitiva.

20.      Con decisione del 25 maggio 2021, l’Ufficio federale ha respinto le domande di N.A.K. e dei suoi figli in quanto inammissibili, intimando loro l’allontanamento verso la Striscia di Gaza.

21.      In particolare, l’Ufficio federale ha ritenuto che, ai sensi dell’articolo 71a, paragrafo 1, dell’AsylG, non occorresse svolgere una nuova procedura di asilo nei confronti dei ricorrenti nel procedimento principale. Infatti, le loro precedenti domande di protezione internazionale erano state respinte dalle autorità belghe e non sussistevano motivi di riapertura della procedura ai sensi dell’articolo 51, paragrafi da 1 a 3, del VwVfG. Al riguardo, l’Ufficio federale ha osservato che non erano intervenuti mutamenti nella situazione di fatto e di diritto di N.A.K. e dei suoi figli e che essi non avevano presentato nuove prove.

22.      Il 9 giugno 2021 i ricorrenti hanno proposto ricorso avverso la decisione in parola dinanzi al Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden), ossia il giudice del rinvio. N.A.K. sosteneva che nella Striscia di Gaza essa si sarebbe trovata esposta al rischio di grave discriminazione, poiché la violenza contro le donne, soprattutto se divorziate o nubili, era ivi socialmente accettata. Inoltre, l’accesso all’assistenza medica e al lavoro risultava limitato e le precarie condizioni esistenti nella Striscia di Gaza non avrebbero consentito a lei e ai suoi figli di assicurarsi i mezzi di sostentamento di base. N.A.K. aggiungeva di non avere alcun sostegno familiare nella Striscia di Gaza e che non era possibile attendersi un sufficiente sostegno da parte dell’UNRWA a favore della stessa e dei suoi figli. Tali elementi non sarebbero stati presi in considerazione dalle autorità belghe. La stessa ha altresì sostenuto che ai ricorrenti risultava di fatto impossibile far ritorno nella Striscia di Gaza e porsi sotto la protezione dell’UNRWA. Alla luce di detti elementi, essa sosteneva che doveva essere loro riconosciuto lo status di rifugiati.

23.      Con ordinanza del 31 agosto 2021, il giudice del rinvio ha disposto l’effetto sospensivo del ricorso di N.A.K. avverso l’espulsione intimata nella decisione impugnata. Lo stesso ha concluso, facendo riferimento alle osservazioni presentate nella causa C‑8/20, L.R. (Domanda di asilo respinta dalla Norvegia), che sussistevano dubbi quanto alla compatibilità dell’articolo 71a dell’AsylG con il diritto dell’Unione.

24.      Alla luce di tali circostanze, il Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva [2013/32], in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della direttiva stessa, debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro per effetto della quale una domanda di protezione internazionale presentata in detto Stato membro dev’essere respinta in quanto inammissibile nel caso in cui una domanda di protezione internazionale precedentemente presentata in un altro Stato membro sia stata dal medesimo definitivamente respinta in quanto infondata».

B.      Causa C202/23

25.      Il ricorrente nella causa principale, M.E.O., è un cittadino libanese nato nel 1989. Il 2 marzo 2020, egli è entrato nella Repubblica federale di Germania e ha chiesto asilo nello stesso giorno. L’Ufficio federale ha registrato la sua domanda il 30 aprile 2020. Dopo che una ricerca Eurodac dell’Ufficio federale aveva restituito una risposta pertinente di categoria 1 per la Polonia, con lettera del 29 aprile 2020 le autorità polacche hanno accettato di riprendere in carico M.E.O.

26.      Con provvedimento del 25 giugno 2020, l’Ufficio federale ha respinto la domanda di M.E.O come inammissibile e ha disposto la sua espulsione in Polonia. L’Ufficio federale ha dichiarato che la Polonia era competente per l’espletamento della procedura di asilo.

27.      Il 6 luglio 2020, M.E.O. ha proposto ricorso avverso detto provvedimento e ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori dinanzi al Verwaltungsgericht Düsseldorf (Tribunale amministrativo di Düsseldorf, Germania). Detto organo giurisdizionale ha respinto la domanda di cui trattasi.

28.      A inizio novembre 2020 l’Ufficio federale ha comunicato alle autorità polacche che, sebbene il termine per il trasferimento di M.E.O. verso la Polonia non fosse ancora scaduto, non era di fatto possibile procedere al trasferimento a causa dell’intervenuta fuga di M.E.O.

29.      Con lettera del 2 febbraio 2021, l’Ufficio federale ha revocato il provvedimento del 25 giugno 2020 in ragione della sopravvenuta scadenza del termine per il trasferimento di M.E.O. A fronte di una richiesta di informazioni da parte dell’Ufficio federale, le autorità polacche hanno comunicato, con lettera del 28 aprile 2021, che la procedura di asilo in Polonia era stata sospesa il 20 aprile 2020. M.E.O. avrebbe potuto riprendere detta procedura entro gennaio 2021 (vale a dire per un periodo di nove mesi a decorrere dalla data della decisione di sospensione dell’esame), ma era ormai troppo tardi per riprenderla.

30.      Con provvedimento del 14 luglio 2021, l’Ufficio federale ha respinto come inammissibile la domanda di asilo presentata da M.E.O. e ne ha disposto l’allontanamento verso il Libano. L’Ufficio federale ha spiegato che, a norma dell’articolo 71a, paragrafo 1, dell’AsylG, in Germania non doveva essere espletata nessun’altra procedura di asilo, poiché la procedura di asilo in Polonia era stata sospesa senza che M.E.O. avesse ivi ottenuto la protezione internazionale. A tale proposito, l’Ufficio federale ha rilevato che non erano sopravvenute modifiche né nella situazione di fatto, né in quella di diritto di M.E.O. rispetto a quella descritta nella sua precedente domanda in Polonia, né erano stati prodotti nuovi mezzi di prova.

31.      Il 27 luglio 2021, M.E.O. ha proposto ricorso avverso detta decisione dinanzi al Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden), ossia il giudice del rinvio.

32.      Con ordinanza del 31 agosto 2021, il giudice del rinvio ha dichiarato che il ricorso proposto da M.E.O. contro l’ordine di allontanamento contenuto nella decisione dell’Ufficio federale aveva efficacia sospensiva. Inoltre, esso ha affermato che nutriva dubbi quanto all’interpretazione della nozione di «domanda reiterata» e alla compatibilità dell’articolo 71a dell’AsylG con il diritto dell’Unione.

33.      Alla luce di tali circostanze, il Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva [2013/32], in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), di detta direttiva, debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro ai sensi della quale una domanda di protezione internazionale presentata in detto Stato membro deve essere respinta come inammissibile se già in precedenza il richiedente ha presentato una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro e la procedura è stata sospesa dall’altro Stato membro in ragione della rinuncia da parte del richiedente alla procedura in tale Stato.

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione:

Se l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva [2013/32], in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), di detta direttiva, debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro ai sensi della quale una domanda di protezione internazionale presentata in detto Stato membro deve essere respinta come inammissibile se già in precedenza il richiedente ha presentato una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro e la procedura è stata sospesa dall’altro Stato membro in ragione della rinuncia da parte del richiedente alla procedura in tale Stato, benché la procedura di asilo in quest’altro Stato membro possa ancora essere riaperta da quest’ultimo se il ricorrente ne fa ivi istanza.

3)      In caso di risposta affermativa alla seconda questione:

Se, nel quadro della decisione su una domanda di protezione internazionale, il diritto dell’Unione stabilisca il momento dirimente per stabilire se una procedura di asilo in precedenza sospesa in un altro Stato membro possa ancora essere riaperta o se tale questione debba essere definita soltanto in base al diritto nazionale.

4)      Qualora si debba rispondere alla terza questione nel senso che il diritto dell’Unione contiene delle prescrizioni al riguardo:

Nel quadro della decisione su una domanda di protezione internazionale, quale sia, in base alle prescrizioni del diritto dell’Unione, il momento dirimente per stabilire se una procedura di asilo in precedenza sospesa in un altro Stato membro possa ancora essere riaperta».

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte

34.      Le domande di pronuncia pregiudiziale, datate 28 ottobre 2022, sono state registrate presso la Corte il 1º marzo 2023 (per la causa C‑123/23) e il 28 marzo 2023 (per la causa C‑202/23).

35.      Con decisione del presidente della Corte del 10 maggio 2023, le cause C‑123/23 e C‑202/23 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza.

36.      Hanno presentato osservazioni scritte la Repubblica federale di Germania, il governo francese e la Commissione europea. La Repubblica federale di Germania e la Commissione erano rappresentati all’udienza tenutasi il 29 febbraio 2024.

V.      Analisi

37.      Si può facilmente immaginare che, per massimizzare le sue possibilità di ottenere protezione internazionale, un richiedente asilo possa voler presentare domande di protezione internazionale in più di uno Stato membro. Il legislatore dell’Unione, ben consapevole dell’importanza di evitare la saturazione del sistema con l’obbligo, per le autorità degli Stati membri, di trattare domande multiple introdotte da uno stesso richiedente, e al fine di evitare il «forum shopping» (6), ha incluso, nel regolamento Dublino III, disposizioni specifiche dirette a limitare il trattamento delle domande presentate dalla stessa persona a un solo Stato membro (7) e, pertanto, a limitare i «movimenti secondari» (8). Esso ha istituito, in sostanza, un meccanismo di «sportello unico», il cui obiettivo è dissuadere i richiedenti asilo dal dare origine a più procedure di asilo in diversi Stati membri (Stati membri A, B, ecc.), contemporaneamente o successivamente, avviando una procedura di asilo nello Stato membro B, C e così via, una volta conclusa o sospesa una procedura di asilo nello Stato membro A.

38.      Inizierò descrivendo in primo luogo le disposizioni del regolamento Dublino III che il legislatore dell’Unione ha espressamente adottato per evitare che si verifichi tale situazione (A). Esaminerò poi se sia possibile per gli Stati membri integrare tale soluzione consentendo alle loro autorità e ai loro organi giurisdizionali competenti di dichiarare inammissibile, a determinate condizioni, una domanda presentata dopo che una procedura di asilo relativa a una precedente domanda presentata dalla stessa persona sia stata espletata da un altro Stato membro in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), in combinato disposto con l’articolo 2,lettera q), della stessa (B). Infatti, la principale questione posta dalle presenti cause riguarda l’applicabilità di tali disposizioni in una situazione che coinvolge diversi Stati membri, vale a dire quando una persona chiede asilo nello Stato membro B (nel caso di specie, la Germania) mentre una procedura di asilo relativa a una precedente domanda della stessa persona è già stata espletata nello Stato membro A (nel caso di specie, rispettivamente, il Belgio e la Polonia).

A.      «Procedure di ripresa in carico»: la soluzione espressa del legislatore dell’Unione

39.      Al fine di scoraggiare la presentazione di domande di protezione internazionale da parte della stessa persona in diversi Stati membri, il legislatore dell’Unione ha adottato, nel regolamento Dublino III, disposizioni in base a cui tali domande sono esaminate da un solo Stato membro (in prosieguo: lo «Stato membro competente»). In particolare, all’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del medesimo regolamento, esso ha indicato che lo Stato membro competente è tenuto a «riprendere in carico» il richiedente che ha presentato domanda in un altro Stato membro (9).

1.      Breve panoramica della «procedura di ripresa in carico»

40.      La «procedura di ripresa in carico» è descritta agli articoli da 23 a 25 del regolamento Dublino III. Tale procedura inizia con la presentazione di una «richiesta di presa in carico» da parte dello «Stato membro richiedente» (ossia lo Stato membro in cui si trova il richiedente) allo Stato membro competente. Qualora si sia conclusa con esito positivo, tale procedura conduce al trasferimento del richiedente asilo dallo Stato membro richiedente all’altro Stato membro. Le modalità e i termini del trasferimento sono specificati all’articolo 29 del medesimo regolamento.

41.      Da tali disposizioni si evince che le situazioni in cui può essere emessa una «richiesta di ripresa in carico» da parte dello Stato membro richiedente includono, in primo luogo, l’ipotesi in cui un cittadino di un paese terzo o un apolide chiede asilo in questo Stato membro mentre la sua domanda è in corso d’esame da parte dello Stato membro competente o dopo aver ritirato la sua domanda dinanzi a tale Stato membro [articolo 18, lettere b) e c), del regolamento Dublino III] e, in secondo luogo, quella in cui esso procede in tal senso dopo che la sua domanda è stata respinta da parte dello Stato membro competente [articolo 18, lettera d), del medesimo regolamento]. Ritengo che la prima situazione corrisponda ai fatti di cui al procedimento principale nella causa C‑202/23, poiché la procedura di asilo in Polonia, riguardante una precedente domanda di M.E.O., era ancora in corso al momento in cui egli ha «presentato» la sua domanda dinanzi all’Ufficio federale. Tuttavia, la procedura in parola era stata sospesa, a norma dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, alcuni giorni dopo, per il motivo che M.E.O. aveva implicitamente ritirato la sua precedente domanda dinanzi alle autorità polacche. La seconda situazione corrisponde ai fatti di cui al procedimento principale nella causa C‑123/23.

42.      Ne consegue che, in entrambe le ipotesi, l’Ufficio federale aveva a disposizione una soluzione «ovvia» per evitare di dover esaminare le domande presentate da N.A.K. e dai suoi figli, da un lato, e da M.E.O., dall’altro. Infatti, lo stesso avrebbe potuto inviare una «richiesta di ripresa in carico», rispettivamente, alla Polonia e al Belgio e organizzare il trasferimento di tali persone verso gli Stati membri in questione. In effetti, l’Ufficio federale ha formulato una siffatta richiesta nella causa C‑202/23. Può, pertanto, risultare prima facie superfluo consentire agli Stati membri di invocare uno strumento diverso [ossia, il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32] in simili circostanze.

43.      Tuttavia, come spiegherò ora (e come dimostrano i fatti di cui al procedimento principale), possono sussistere impedimenti all’attuazione delle «procedure di ripresa in carico». Inoltre, il legislatore dell’Unione ha precisato che gli Stati membri non sono tenuti a ricorrere a tali procedure.

2.      «Procedure di ripresa in carico»: una soluzione parziale…

44.      Le «procedure di ripresa in carico» non andranno a buon fine nelle seguenti situazioni. Anzitutto, lo Stato membro in cui il richiedente ha presentato una «domanda reiterata» (Stato membro B) può non rispettare il termine per la presentazione di una «richiesta di ripresa in carico» allo Stato membro competente (Stato membro A) (10). In tal caso, lo Stato membro B diventa competente per l’esame della «domanda reiterata» dell’interessato in luogo dello Stato membro A (11). In secondo luogo, supponendo che la «richiesta di ripresa in carico» sia formulata in tempo utile dallo Stato membro B, lo Stato membro richiesto (Stato membro A) può rifiutare di riprendere in carico l’interessato, ad esempio perché esso non è, in realtà, lo Stato membro competente per il suo esame (12). Di fatto, è quanto avvenuto nella causa C‑123/23: l’Ufficio federale ha dapprima presentato una richiesta di ripresa in carico alle autorità spagnole competenti, che l’hanno respinta, poiché esse non si ritenevano competenti per l’esame delle domande di N.A.K. e dei suoi figli, dal momento che tali persone avevano nel frattempo presentato domanda di asilo in Belgio e le loro richieste erano state esaminate dalle autorità belghe. In terzo luogo, anche se lo Stato membro A accetta di riprendere in carico il richiedente, lo Stato membro B può tuttavia non rinviarlo nello Stato membro A nel rispetto dei termini stabiliti all’articolo 29 del regolamento Dublino III. In una situazione del genere, lo Stato membro A è liberato dall’obbligo di riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro B (13). Ciò è avvenuto nella causa C‑202/23: l’Ufficio federale non è riuscito a trasferire M.E.O. in Polonia entro il termine previsto (perché era fuggito) e, pertanto, è diventato competente per l’esame della sua domanda.

45.      Inoltre, gli Stati membri non sono tenuti a ricorrere a procedure di ripresa in carico. Infatti, l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento Dublino III si limita a indicare che lo Stato membro B «può chiedere» (14) allo Stato membro A di riprendere in carico l’interessato. Inoltre, la «clausola discrezionale» prevista all’articolo 17, paragrafo 1, dello stesso regolamento autorizza ciascuno Stato membro a decidere di esaminare «una domanda di protezione internazionale presentata» dinanzi ad esso. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑123/23 risulta che, dopo il rigetto della sua «richiesta di ripresa in carico» alle autorità spagnole, la Repubblica federale di Germania si è dichiarata competente per l’esame delle domande di N.A.K. e dei suoi figli presentate dinanzi ad essa, sulla base dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Tale Stato membro ha spiegato in udienza che la ragione per la quale essa si era fondata su tale disposizione era che in detto momento era, in ogni caso, troppo tardi per inviare in tempo utile un’altra «richiesta di ripresa in carico» alle autorità belghe.

46.      In tutte le situazioni che ho appena descritto, la competenza per l’esame di una domanda può quindi passare (e, nelle ipotesi di cui ai procedimenti principali, ciò è effettivamente avvenuto) dallo Stato membro dinanzi a cui la stessa persona interessata aveva precedentemente chiesto asilo, lo Stato membro A (nella fattispecie, il Belgio e la Polonia), a quello in cui una siffatta domanda è stata presentata, lo Stato membro B (nel caso di specie, la Germania).

47.      È in tale contesto che occorre esaminare l’unica questione sollevata nella causa C‑123/23 e le quattro questioni nella causa C‑202/23.

B.      Articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa: uno strumento integrativo?

48.      Nelle sezioni che seguono illustrerò le ragioni per le quali ritengo che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa debba essere interpretato nel senso che esso non esclude, nell’ipotesi in cui lo Stato membro B (nel caso di specie, la Germania) divenga lo Stato membro competente per l’esame della domanda presentata dinanzi ad esso in luogo dello Stato membro A, che le autorità dello Stato membro B possano respingere come inammissibile una «domanda reiterata» presentata dinanzi ad esse, anche se la procedura di asilo relativa a una precedente domanda della stessa persona è stata espletata non da dette autorità, bensì da quelle dello Stato membro A (2).

49.      Tuttavia, prima di procedere, spiegherò anzitutto perché ritengo che, indipendentemente dall’applicabilità di tali disposizioni in un siffatto contesto tra Stati membri, una domanda come quella presentata da M.E.O. nella causa C‑202/23 non possa, in ogni caso, essere respinta in quanto inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32. Infatti, affinché trovi applicazione il motivo di inammissibilità enunciato nella disposizione di cui trattasi, la prima condizione è che la domanda deve essere una «domanda reiterata» ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della medesima direttiva, il che presuppone che le autorità dello Stato membro A abbiano adottato una «decisione definitiva» in relazione a una precedente domanda dell’interessato. Come spiegherò, una domanda come quella presentata da M.E.O. non soddisfa tale requisito (1).

1.      Situazione di cui trattasi nella causa C202/23: la necessità di una «decisione definitiva» in relazione a una precedente domanda [articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32]

50.      Il giudice del rinvio afferma che la domanda presentata da M.E.O. dinanzi all’Ufficio federale è datata 2 marzo 2020 e che essa è stata registrata il 30 aprile 2020. Esso precisa inoltre che la procedura di asilo in Polonia, relativa a una precedente domanda di M.E.O., è stata sospesa in base all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 (15) il 20 aprile 2020, con la motivazione che M.E.O. aveva implicitamente ritirato la propria domanda. Tuttavia, tale procedura avrebbe potuto essere ripresa entro gennaio 2021.

51.      A tale proposito, osservo che l’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32 prevede che l’espressione «domanda reiterata» comprenda l’ipotesi in cui un’ulteriore domanda è presentata «dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche (…) nel caso in cui l’autorità accertante abbia respinto la domanda in seguito al suo ritiro implicito ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1» di detta direttiva. Pertanto, il solo fatto che la procedura di asilo relativa a una precedente domanda dell’interessato si sia conclusa sulla base di tale articolo e che tale domanda sia stata implicitamente ritirata dall’interessato non costituisce, di per sé, un ostacolo a che una domanda presentata successivamente dalla stessa persona venga considerata una «domanda reiterata» ai sensi di detta disposizione.

52.      Tuttavia, come sottolinea correttamente la Commissione, in una siffatta ipotesi, perché una domanda rientri nell’ambito della definizione di «domanda reiterata» di cui all’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, la decisione di sospendere la precedente procedura di asilo deve, anzitutto, essere già stata adottata dallo Stato membro A nel momento in cui la persona in questione presenta la sua domanda nello Stato membro B(16). In secondo luogo, tale persona non deve più avere la possibilità di riprendere la procedura di cui trattasi (altrimenti la decisione non può essere considerata definitiva).

53.      Concordo con la Commissione sul fatto che una domanda come quella presentata da M.E.O. dinanzi all’Ufficio federale non soddisfa il primo requisito in parola. Infatti, quando M.E.O. ha depositato la sua domanda presso l’Ufficio federale il 2 marzo 2020, la decisione delle autorità polacche di sospendere la procedura di asilo relativa alla sua precedente domanda (datata 20 aprile 2020) non era nemmeno stata ancora adottata.

54.      Al riguardo, il giudice del rinvio nutre dubbi quanto alla rilevanza della data in cui M.E.O ha presentato la sua domanda in Germania. Secondo lo stesso giudice, la data rilevante potrebbe essere anche quella in cui tale domanda è stata registrata o quella in cui l’Ufficio federale è divenuto competente per esaminarla (entrambe sono successive all’adozione della decisione delle autorità polacche di sospendere la procedura di asilo pendente dinanzi ad esse). Osservo, tuttavia, che l’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32 stabilisce che una domanda può essere considerata una «domanda reiterata» solo se essa è «presentata dopo che è stata adottata una decisione (…) su una domanda precedente» della stessa persona (17). Ritengo che il termine «presentata» si riferisca a un momento distinto non solo da quello in cui tale autorità si dichiara competente per esaminarla, ma anche da quello in cui la domanda è registrata e che corrisponde, nella causa C-202/23, alla data del 2 marzo 2020 (data indicata nella domanda di M.E.O). Infatti, l’atto di «presentazione» di una domanda di protezione internazionale non comporta alcuna formalità amministrativa (18). L’interpretazione in parola si evince, in particolare, dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva in questione, in base a cui «[q] uando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale (…), la registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda».

55.      Per quanto riguarda il secondo requisito menzionato supra al paragrafo 23, ritengo che la domanda di M.E.O. all’Ufficio federale non sia conforme neanche a tale requisito, poiché, quando M.E.O. l’ha presentata, la procedura dinanzi alle autorità polacche poteva ancora essere da lui ripresa, fino al 20 gennaio 2021.

56.      A tale proposito, ricordo che l’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 deve essere letto in combinato disposto con l’articolo 28, paragrafo 2, della stessa, a norma del quale gli Stati membri provvedono affinché un richiedente nei cui confronti sia stata presa una decisione di sospendere la procedura di asilo, abbia il diritto, per un periodo di almeno nove mesi, di chiedere la riapertura del suo caso o di presentare una nuova domanda, e che tale domanda «non sarà sottoposta alla procedura di cui agli articoli 40 e 41» (19). Dal momento che gli articoli 40 e 41 della direttiva 2013/32 descrivono la procedura applicabile alle «domande reiterate», mi sembra chiaro che una domanda presentata prima della scadenza di tale termine di almeno nove mesi (in un momento in cui la procedura di asilo nello Stato membro A può ancora essere ripresa) non possa in alcun caso essere considerata una «domanda reiterata» ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della stessa direttiva (20).

57.      Alla luce di tali elementi, propongo alla Corte di rispondere alle quattro questioni sollevate nella causa C‑202/23 nel senso che il solo fatto che la procedura di asilo relativa a una precedente domanda di protezione internazionale dell’interessato si sia conclusa con una decisione di sospensione adottata sulla base dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 non costituisce, di per sé, un impedimento a che una domanda presentata successivamente dalla stessa persona sia considerata una «domanda reiterata» ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della medesima direttiva. Tuttavia, non si può ritenere che una siffatta domanda rientri nell’ambito di applicazione della disposizione in parola e il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 non può applicarsi se la decisione di sospendere la procedura di asilo relativa alla domanda precedente non è ancora stata adottata o se l’interessato ha ancora la possibilità di riprendere la procedura in questione. Al riguardo, l’articolo 28, paragrafo 2, della stessa dispone che «[g] li Stati membri possono prevedere un termine di almeno nove mesi» durante cui la procedura può essere ripresa. Spetta agli Stati membri, nell’ambito del loro ordinamento nazionale, decidere quale sia il termine di cui trattasi, purché esso non sia inferiore al minimo di nove mesi fissato da tale disposizione.

58.      Per chiarezza, se un richiedente asilo chiede protezione internazionale nello Stato membro B prima che sia stata adottata la decisione di sospendere la procedura di asilo nello Stato membro A o prima della scadenza del termine per riprendere detta procedura, lo Stato membro B non ha altra scelta se non quella di ricorrere alla «procedura di ripresa in carico» descritta nel regolamento Dublino III o di dichiararsi competente per l’esame della domanda presentata dinanzi ad esso (in applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, dello stesso) e procedere all’esame completo nel merito delle richieste del richiedente (21).

2.      Situazione di cui trattasi nella causa C123/23: l’applicabilità del motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 in un contesto tra Stati membri

59.      La situazione di cui trattasi nella causa C‑123/23 non è caratterizzata dal problema che ho individuato nella sezione precedente. Il giudice del rinvio indica che, al momento in cui N.A.K. e i suoi figli hanno presentato una domanda di asilo all’Ufficio federale, la procedura di asilo dinanzi allo Stato membro A (nel caso di specie, il Belgio) nei loro confronti si era conclusa con una decisione definitiva negativa. Infatti, le autorità belghe avevano respinto le richieste di N.A.K. e dei suoi figli con una decisione che non era stata impugnata. Dette autorità avevano quindi adottato una «decisione definitiva» ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera e), della stessa, in base a cui per «decisione definitiva» si intende «una decisione che stabilisce se a un cittadino di un paese terzo o a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria a norma della direttiva [2011/95] e che non è più impugnabile».

60.      In tale contesto, la possibilità, per la Repubblica federale di Germania, una volta dichiaratasi competente per l’esame delle domande di N.A.K. e dei suoi figli (22), di invocare il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 dipende ancora dalla questione se tale disposizione, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della medesima direttiva, esiga che la precedente domanda e la «domanda reiterata» siano state presentate nello stesso Stato membro.

61.      Al fine di spiegare perché, a mio avviso, le disposizioni di cui trattasi non impongono un siffatto requisito, procederò a un’interpretazione testuale, sistematica e teleologica dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa.

a)      Interpretazione testuale

62.      L’articolo 33 della direttiva 2013/32, intitolato «Domande inammissibili», introduce un elenco di eccezioni alla regola di base in forza della quale le autorità competenti degli Stati membri sono tenute a esaminare nel merito le domande di protezione internazionale (23). Al paragrafo 2, esso dispone che le domande di protezione internazionale «possono» essere giudicate inammissibili «soltanto se» si applica uno dei motivi elencati in detto paragrafo. Da tale disposizione deduco anzitutto che gli Stati membri non sono tenuti a dichiarare inammissibile una domanda. In secondo luogo, gli Stati membri non sono liberi di prevedere, nella loro normativa, altri motivi di inammissibilità (24).

63.      In tale contesto, mi sembra chiaro che il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva in questione, che si applica alle «domande reiterate», deve essere inteso come un motivo sia facoltativo sia tassativo ai fini della dichiarazione di inammissibilità di tali domande. L’applicabilità di detto motivo in un ambito che coinvolge più Stati membri che partecipano pienamente al sistema europeo comune di asilo dipende pertanto dal fatto che la formulazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa, sia sufficientemente ampia da contemplare detta possibilità.

64.      Al riguardo, osservo che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 non indica che la procedura di asilo relativa a una precedente domanda dell’interessato, conclusasi con una decisione definitiva, debba essere stata necessariamente espletata dallo stesso Stato membro in cui la persona in questione presenta successivamente una domanda di asilo. Infatti, la disposizione in parola contiene due condizioni espresse, ossia, da un lato, che la domanda sia una «domanda reiterata» e, dall’altro, che «non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale». Essa non si pronuncia in merito al luogo in cui tale procedura di asilo deve essere stata espletata, questione che, a mio avviso, riguarda la prima condizione. L’articolo 2, lettera q), della stessa direttiva è parimenti ambiguo al riguardo.

65.      Come ho già affermato nell’introduzione, la Corte ha interpretato la prima condizione prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 nel senso che essa osta a che una domanda sia considerata una «domanda reiterata» qualora essa sia presentata dopo che una domanda della stessa persona sia stata esaminata da un Stato terzo (Norvegia) o da uno Stato membro (Danimarca) vincolato dal regolamento Dublino III, ma non dalla direttiva in esame né dalla direttiva 2011/95. La Corte ha fondato detta conclusione sul fatto che la decisione definitiva relativa a una domanda precedente dell’interessato deve essere stata adottata da uno Stato vincolato da quest’ultima direttiva. Tuttavia, la Corte ha espressamente indicato che la sua conclusione «[fa] salva la distinta questione se la nozione di “domanda reiterata” si applichi a un’ulteriore domanda di protezione internazionale rivolta a uno Stato membro dopo il rigetto, con una decisione definitiva, di una domanda precedente da parte di un altro Stato membro [vincolato da tale direttiva]» (25). Pertanto, essa ha lasciato aperta la questione di cui trattasi.

66.      Aggiungo che, per quanto riguarda la seconda condizione enunciata all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, la Corte ha dichiarato, in un contesto in cui era chiamata a pronunciarsi sul significato della nozione di «elementi o risultanze nuovi», ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), e dell’articolo 40, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32, che le ipotesi nelle quali la medesima direttiva impone di considerare ammissibile una «domanda reiterata» devono essere interpretate in maniera estensiva (26). Al riguardo, essa ha ricordato che, ad eccezione dei casi contemplati dai motivi elencati all’articolo 33, paragrafo 2, di detto strumento, le autorità degli Stati membri sono tenute, come ho già spiegato al paragrafo 62 delle presenti conclusioni, ad esaminare nel merito le domande di protezione internazionale. Tuttavia, la sentenza in esame ha una rilevanza limitata rispetto al tema posto dalle presenti cause. Infatti da tali conclusioni della Corte non si può dedurre che si debba leggere in questa disposizione un requisito che non è compreso expressis verbis nell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 (ossia che una domanda può essere dichiarata inammissibile in quanto «domanda reiterata» solo se presentata in uno Stato membro che ha adottato una decisione definitiva su una precedente domanda della stessa persona) e riguardante non la seconda, bensì la prima delle condizioni previste in detta disposizione debba essere letta nell’ambito di tale disposizione.

67.      Concludo la presente sezione osservando che la Corte ha in effetti già precisato, sebbene in una situazione specifica (27)riguardante non l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, ma la disposizione corrispondente della direttiva 2005/85/CE (28), la quale si applicava prima dell’entrata in vigore della direttiva 2013/32, che una domanda presentata in uno Stato membro dopo che una precedente domanda identica presentata dalla stessa persona era stata respinta con decisione definitiva in un altro (primo) Stato membro, poteva essere dichiarata inammissibile da tale secondo Stato membro (29).

68.      Alla luce di detti elementi, sono d’accordo con la Repubblica federale di Germania sul fatto che la formulazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), e dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32 è sufficientemente ampia da contemplare la possibilità che il motivo di inammissibilità contenuto nella prima di tali disposizioni trovi applicazione in un contesto che coinvolge più Stati membri che partecipano pienamente al sistema europeo comune di asilo. Allo stesso tempo, non posso concludere nel senso dell’esistenza di una siffatta possibilità sulla base del solo tenore letterale di dette disposizioni, ragion per cui procederò ora a un’interpretazione sistematica e teleologica di queste ultime.

b)      Interpretazione sistematica e teleologica

69.      Un’interpretazione sistematica e teleologica dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), e dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32 corrobora, a mio avviso, la conclusione secondo cui dette disposizioni possono applicarsi qualora la decisione definitiva relativa a una precedente domanda dell’interessato sia stata adottata da uno Stato membro che partecipa pienamente al sistema europeo comune di asilo, ma che è diverso da quello in cui la persona in questione sta attualmente chiedendo asilo.

70.      Da un lato, le disposizioni di cui trattasi devono essere lette in combinato disposto con l’articolo 40 della direttiva 2013/32, che specifica, ai paragrafi da 2 a 5, la procedura applicabile, in generale, alle «domande reiterate». Nessuno dei paragrafi di cui trattasi contiene indicazioni del fatto che il motivo di inammissibilità di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva in parola [o la nozione di «domanda reiterata», definita all’articolo 2, lettera q), della medesima, peraltro] debba essere limitato unicamente a situazioni in cui domande successive sono presentate nel medesimo Stato membro. Soprattutto, l’articolo 40, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 si limita a prevedere che, «[s]e una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame ai sensi del presente articolo, essa è considerata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d)», della stessa.

71.      Tale constatazione non è inficiata dal fatto che l’articolo 40 della direttiva 2013/32 contiene un altro paragrafo (il paragrafo 1) che menziona specificamente le «domande reiterate» presentate «nello stesso Stato membro». Infatti, detto paragrafo non è una disposizione di portata generale che, al pari dei paragrafi da 2 a 5 dell’articolo 40, mira a comprendere tutte le situazioni in cui una domanda può essere considerata una «domanda reiterata». Come la Corte ha recentemente confermato, tale paragrafo, nella misura in cui si applica alle «domande reiterate», prende in considerazione l’ipotesi molto specifica in cui il diritto nazionale consente, in via eccezionale, la riapertura, a motivo dell’esistenza di una domanda reiterata, del procedimento che si è concluso con il rigetto in via definitiva della domanda precedente (30).

72.      Tale limitato ambito di applicazione dell’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 è corroborato dal paragrafo 7 del medesimo articolo. Quest’ultimo paragrafo si applica alla situazione in cui una persona nei cui confronti deve essere eseguita una decisione di trasferimento (adottata ai sensi dell’articolo 29 del regolamento Dublino III) rilascia ulteriori dichiarazioni o reitera la domanda nello Stato membro che provvede al trasferimento. Il fatto che l’ipotesi contemplata dall’articolo 40, paragrafo 7, della direttiva 2013/32 sia diversa da quella contemplata dall’articolo 40, paragrafo 1, della stessa conferma che la prima disposizione è semplicemente una lex specialis (31).

73.      In ogni caso, l’articolo 40, paragrafo 7, della direttiva 2013/32 chiarisce (32), a mio avviso, che la nozione di «domanda reiterata», quale definita all’articolo 2, lettera q), della medesima direttiva, non è limitata a una domanda presentata dinanzi allo stesso Stato membro in cui è stata presentata una precedente domanda da parte della stessa persona. Tale nozione si applica, di fatto, nell’articolo 40, paragrafo 7, della direttiva 2013/32, a una domanda presentata dinanzi a un altro Stato membro, lo Stato membro che provvede al trasferimento) (33).

74.      In secondo luogo, l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 deve essere letto in combinato disposto con gli altri motivi di inammissibilità enunciati all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva, in particolare con l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della stessa. Tale disposizione consente agli Stati membri di dichiarare inammissibile una domanda per il fatto che «un altro Stato membro ha [già] concesso la protezione internazionale» all’interessato. Benché risulti in modo chiaro che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 riguarda una situazione di fatto diversa da quella di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della stessa (vale a dire una situazione in cui un altro Stato membro abbia risposto positivamente, e non negativamente, a una precedente domanda della stessa persona), mi sembra che la «linea di demarcazione» tra i rispettivi ambiti di applicazione delle due disposizioni in esame non sia sempre chiara.

75.      Infatti, l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 è già stato applicato dalla Corte a decisioni parzialmente negative. Nella sentenza Ibrahim e altri (34), la Corte ha ritenuto che il motivo di inammissibilità enunciato in detta disposizione avrebbe potuto essere applicato dall’Ufficio federale per dichiarare inammissibili domande presentate da persone che avevano precedentemente ottenuto la protezione sussidiaria, ma non lo status di rifugiato, da parte di un altro Stato membro. Essa ha affermato che «[l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a)] (…) estende la facoltà precedentemente prevista dall’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/85, che consentiva un siffatto rigetto unicamente quando il richiedente aveva ottenuto in un altro Stato membro lo status di rifugiato».

76.      In detta sentenza, la Corte ha evidenziato che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 (che, come ho spiegato, autorizza gli Stati membri a respingere in quanto inammissibile una domanda presentata da un richiedente dopo che un altro Stato membro abbia in sostanza rifiutato di concedergli lo status di rifugiato) costituisce un’espressione del principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri (35). In tale contesto, la Commissione sostiene tuttavia che ammettere l’applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d) nelle situazioni tra Stati membri costituirebbe più di un’espressione del principio di fiducia reciproca, poiché ciò equivarrebbe ad un riconoscimento reciproco delle decisioni negative in materia di asilo. Un siffatto riconoscimento reciproco potrebbe essere possibile solo in una situazione in cui il legislatore dell’Unione l’avesse espressamente previsto.

77.      Non condivido tale posizione.

78.      Infatti, concordo con la Repubblica federale di Germania sul fatto che il ragionamento della Commissione non tiene conto di un elemento importante. A mio avviso, il riconoscimento reciproco di una decisione negativa in materia di asilo presupporrebbe un elevato grado di «automatizzazione» e imporrebbe la produzione di effetti vincolanti da parte di una decisione adottata dalle autorità di uno Stato membro nei confronti delle autorità di un altro Stato membro, le quali sarebbero, in linea di principio, tenute a riconoscerla e ad eseguirla come se fosse una propria decisione (36). Concordo sul fatto che può essere difficile imporre siffatti obblighi alle autorità degli Stati membri in assenza di una disposizione esplicita nel diritto primario o di una espressa volontà del legislatore dell’Unione (37).

79.      Tuttavia, come ho spiegato al paragrafo 62 delle presenti conclusioni, il testo dell’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 chiarisce che gli Stati membri non sono tenuti a dichiarare inammissibile una domanda in forza di tale disposizione (38). Qualora la Corte optasse per la soluzione che le propongo di adottare, ne conseguirebbe che, di fronte a una «domanda reiterata» presentata dopo che la procedura di asilo relativa a una precedente domanda della stessa persona si è conclusa con una decisione definitiva nello Stato membro A, lo Stato membro B resterebbe libero (a condizione che sia lo Stato membro competente in forza dei criteri previsti dal regolamento Dublino III) di procedere a un esame completo nel merito delle richieste formulate nell’ambito di una siffatta domanda reiterata, senza essere vincolato da qualsiasi decisione adottata da uno Stato membro in relazione a una precedente domanda della stessa persona.

80.      Ciò considerato, ritengo che interpretare l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa, nel senso che, esattamente come l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva di cui trattasi, esso si può applicare a situazioni tra Stati membri non equivarrebbe a creare un sistema di riconoscimento reciproco, in cui gli Stati membri sarebbero tenuti a riconoscere ed eseguire le decisioni di altri Stati membri. Semmai tale interpretazione si limiterebbe a confermare che anche il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 costituisce un’espressione del principio della fiducia reciproca. Tale interpretazione sarebbe coerente con il fatto che il legislatore dell’Unione non ha ancora pienamente realizzato, mediante la previsione di un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni che accordano (o negano) lo status di rifugiato e la precisazione delle modalità di attuazione di tale principio, l’obiettivo a cui tende l’articolo 78, paragrafo 2, lettera a), TFUE, ovvero uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione (39).

81.      In terzo luogo, ritengo che un’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa nel senso da me raccomandato contribuirebbe all’obiettivo di limitare «movimenti secondari» tra Stati membri. L’obiettivo in parola, sotteso al sistema europeo comune di asilo nel suo insieme, trova espressione concreta nel considerando 13 della direttiva 2013/32.

82.      Come hanno ricordato la Commissione e il governo francese, considerare una domanda come una «domanda reiterata» comporta talune conseguenze per la persona che l’ha presentata. Non solo una siffatta domanda può essere dichiarata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, essa può altresì (qualora non venga respinta in quanto inammissibile) (40) essere sottoposta a una procedura accelerata (41). Inoltre, gli Stati membri possono prevedere deroghe al diritto del richiedente di rimanere nel loro territorio (42). Infine, una «domanda reiterata» può essere respinta in quanto «manifestamente infondata» al termine di una procedura accelerata e gli Stati membri possono, in siffatte circostanze, astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria e corredare la decisione di rimpatrio con un divieto d’ingresso (43).

83.      Cosa accade quindi se tali conseguenze possono riferirsi solo alle «domande reiterate» presentate nello stesso Stato membro (Stato membro A) e mai a quelle presentate in un altro Stato membro (Stato membro B), dopo che il richiedente effettua un «movimento secondario» spostandosi dallo Stato membro A allo Stato membro B? Il richiedente che effettua un siffatto «movimento secondario» beneficia effettivamente di un trattamento più favorevole rispetto al richiedente che «rispetta le regole» e rimane nello Stato membro competente. Lo stesso può, in sostanza, ricominciare «da zero» nello Stato membro B, poiché tale Stato membro è tenuto a procedere ad un esame completo, nel merito, della sua domanda. Nel complesso, i richiedenti asilo possono quindi essere incoraggiati a spostarsi dallo Stato membro A allo Stato membro B non appena ricevono una decisione negativa nello Stato membro A. Essi possono addirittura astenersi dall’impugnare una siffatta decisione nello Stato membro A e lasciare che essa diventi definitiva (giacché ciò apre loro la strada all’avvio di una nuova procedura nello Stato membro B). Al fine di massimizzare le possibilità di ottenere un riesame completo della loro situazione, i richiedenti asilo possono altresì essere incoraggiati a presentare «nuove» domande nel maggior numero possibile di altri Stati membri (44).

84.      In tali circostanze, i movimenti secondari sono senza dubbio incoraggiati, anziché limitati. Al contrario, se lo Stato membro B ha la facoltà di dichiarare inammissibile una «domanda reiterata» presentata dinanzi ad esso, anche se la decisione definitiva relativa a una precedente domanda della stessa persona è stata adottata non dalle sue autorità, bensì dalle autorità dello Stato membro A, la tentazione per tale persona anzitutto di raggiungere lo Stato membro B si riduce notevolmente.

85.      In quarto luogo, ritengo che l’interpretazione che propongo alla Corte di adottare contribuisca a un altro obiettivo della direttiva 2013/32, che consiste, come indica il considerando 36 della stessa, nell’alleviare, a determinate condizioni, l’onere amministrativo imposto alle autorità competenti degli Stati membri.

86.      I «movimenti secondari» generano oneri amministrativi significativi a carico delle autorità nazionali competenti degli Stati membri, in particolare di quelli in cui viene presentata una «domanda reiterata» e che non possono rinviare il richiedente nello Stato membro che ha espletato la procedura di asilo relativa a una precedente domanda dell’interessato.

87.      Tornando alle varie ipotesi descritte ai paragrafi da 44 a 47, è vero che, in alcuni casi, la «procedura di ripresa in carico» istituita dal regolamento Dublino III può fallire e la competenza a esaminare la «domanda reiterata» può passare dallo Stato membro A allo Stato membro B, in quanto lo Stato membro B crea esso stesso un «impedimento» all’attuazione di tale procedura (ad esempio, se non presenta una richiesta di ripresa in carico in tempo utile) o si dichiara competente per il suo esame. Tuttavia, in altri casi, la ragione per cui la procedura di ripresa in carico fallisce può sfuggire al controllo dello Stato membro B (45). Si può facilmente sottolineare che sarebbe sproporzionato esigere che lo Stato membro B proceda, in tutti i casi in cui viene presentata una «domanda reiterata» dinanzi ad esso, a un nuovo esame completo nel merito di una siffatta domanda.

88.      Infine, e prima di concludere la presente sezione, rilevo che il governo francese sostiene che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 deve essere letto in combinato disposto con il considerando 36 di quest’ultima, la cui seconda frase collega la possibilità per gli Stati membri di dichiarare inammissibili le «domande reiterate» con il principio della cosa giudicata. Secondo tale governo, il principio dell’autorità di cosa giudicata si applica solo alle situazioni interne a un singolo Stato membro. Di conseguenza, lo stesso asserisce che il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 può solo riguardare la situazione in cui la decisione definitiva negativa su una precedente domanda della stessa persona è stata adottata dallo stesso Stato membro dinanzi al quale è presentata la «domanda reiterata».

89.      Non condivido la tesi del governo francese secondo cui un simile esito potrebbe risultare dal solo fatto che la seconda frase del considerando 36 della direttiva 2013/32 fa riferimento al principio della cosa giudicata.

90.      A tal riguardo, ricordo che, come ho spiegato nelle mie conclusioni nella causa Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (46), tale principio non svolge necessariamente un ruolo in tutte le situazioni in cui è presentata una domanda reiterata. Infatti, affinché il principio dell’autorità di cosa giudicata venga in rilievo, è necessaria una decisione giurisdizionale. Anche in una situazione puramente interna la procedura relativa a una precedente domanda dell’interessato può essersi conclusa con una mera decisione amministrativa delle autorità competenti, che non è stata impugnata tempestivamente dinanzi a un organo giurisdizionale. In casi del genere, il principio della cosa giudicata non può trovare applicazione, poiché manca una decisione giudiziaria che dia luogo alla sua applicazione (47). Ne consegue che l’importanza di tale principio, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, non dovrebbe essere enfatizzata in modo eccessivo, in quanto, anche in situazioni puramente interne, esso non comprende tutti i casi in cui una «domanda reiterata» può essere dichiarata inammissibile.

91.      Aggiungo che la prima frase del considerando 36 della direttiva 2013/32 rispecchia già tale concetto. Infatti, detta frase prevede, in termini la cui portata è più ampia di quella utilizzata nella seconda frase del considerando di cui trattasi, che «[q]ualora il richiedente esprima l’intenzione di presentare una domanda reiterata senza addurre prove o argomenti nuovi, sarebbe sproporzionato imporre agli Stati membri l’obbligo di esperire una nuova procedura di esame completa». Contrariamente al governo francese, ritengo che il riferimento al principio della cosa giudicata nella seconda frase del considerando 36 della direttiva 2013/32 non consenta di concludere che il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della medesima direttiva si applichi soltanto qualora la procedura di asilo relativa a una precedente domanda dell’interessato sia stata espletata nello stesso Stato membro dinanzi al quale è presentata la «domanda reiterata».

c)      Conclusione intermedia

92.      Alla luce di tutti gli elementi esposti, ritengo che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa, dev’essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui lo Stato membro B divenga lo Stato membro competente (in base ai criteri previsti dal regolamento Dublino III) per l’esame della domanda presentata dinanzi ad esso in luogo dello Stato membro A, tali disposizioni possono essere invocate da tale Stato membro per respingere come inammissibile una «domanda reiterata» presentata dinanzi ad esso anche se la procedura di asilo relativa a una precedente domanda della stessa persona è stata conclusa con una decisione definitiva nello Stato membro A. Infatti, la soluzione di cui trattasi contribuirebbe ad almeno due obiettivi perseguiti da tale direttiva, vale a dire, da un lato, limitare i «movimenti secondari» e, dall’altro, alleviare l’onere amministrativo delle autorità competenti degli Stati membri in talune situazioni. Inoltre, detta interpretazione attribuirebbe efficacia concreta al principio della fiducia reciproca, che costituisce, come ho spiegato, il fondamento del sistema europeo comune di asilo. Non ravviso, nella formulazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa o in altre disposizioni della direttiva in parola, alcun elemento che contrasterebbe con detta interpretazione.

93.      Ciò premesso, resta da spiegare perché la soluzione che propongo alla Corte di adottare non vada a scapito della tutela dei diritti dei richiedenti e non rischi di compromettere l’efficacia della «procedura di ripresa in carico».

d)      Importanza della tutela dei diritti dei richiedenti ed efficacia della «procedura di ripresa in carico»

94.      Il governo francese asserisce, in riferimento alle considerazioni che ho esposto al paragrafo 82 delle presenti conclusioni, che l’interpretazione sostenuta dalla Repubblica federale di Germania potrebbe impedire l’esame adeguato e completo della situazione del richiedente, la cui importanza è stata costantemente ricordata dalla Corte nella sua giurisprudenza (48). Adottando una posizione simile, la Commissione, dal canto suo, menziona l’esistenza di ostacoli pratici allo scambio di informazioni tra Stati membri. A suo avviso, può essere difficile per lo Stato membro B disporre di tutti gli elementi pertinenti sui quali si fonda la decisione definitiva negativa adottata dallo Stato membro A e, pertanto, valutare se «non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95]». Il margine di errore per le autorità competenti degli Stati membri può quindi essere maggiore nelle situazioni tra Stati membri che in situazioni puramente interne.

95.      Concordo tanto con il governo francese quanto con la Commissione riguardo al fatto che i diritti dei richiedenti non possono essere sacrificati in nome degli obiettivi di limitazione dei «movimenti secondari» o di alleggerimento degli oneri amministrativi a carico delle autorità competenti degli Stati membri. Come ho indicato nelle mie conclusioni nella causa Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (49), è chiaro che, all’atto di adozione delle disposizioni relative alle «domande reiterate», il legislatore dell’Unione intendeva non soltanto «alleviare» il carico di lavoro di tali autorità, ma anche garantire sempre un livello di protezione sufficientemente elevato dei richiedenti asilo (garantendo loro un accesso effettivo a un esame adeguato della loro situazione) (50), nonché il rispetto del principio di non respingimento, ai sensi del quale nessuno può essere nuovamente esposto alla persecuzione (51).

96.      Tuttavia, ritengo che la soluzione che propongo alla Corte di adottare sia compatibile con tali altri obiettivi, e ciò per diversi motivi.

97.      Al riguardo, inizierò menzionando l’articolo 34 del regolamento Dublino III. La disposizione in parola mira a facilitare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, imponendo loro un obbligo di cooperazione. Esso dispone, al paragrafo 1, che «[c]iascuno Stato membro comunica allo Stato membro che ne faccia richiesta i dati di carattere personale riguardanti il richiedente che sono idonei, pertinenti e non eccessivi» (52) ai fini, tra l’altro, dell’esame della domanda di protezione internazionale. Il paragrafo 2, lettera g), di detto articolo indica che le informazioni di cui al paragrafo 1 comprendono «lo stato di avanzamento della procedura e l’eventuale decisione adottata».

98.      In udienza, la Repubblica federale di Germania ha spiegato che, nella causa C‑123/23, in risposta alla «richiesta di informazioni» dell’Ufficio federale emessa a norma dell’articolo 34 del regolamento Dublino III, le autorità belghe hanno consentito all’Ufficio federale pieno accesso alla decisione da esse adottata riguardo alle precedenti domande di N.A.K. e dei suoi figli. In tali circostanze, ritengo, contrariamente alla Commissione, che sia del tutto possibile che lo Stato membro B disponga di tutti gli elementi sui quali è stata fondata la decisione definitiva negativa adottata dallo Stato membro A.

99.      Ciò premesso, concordo con la Commissione sul fatto che il livello elevato di protezione che deve essere garantito ai richiedenti asilo non potrebbe essere raggiunto se le autorità competenti di uno Stato membro potessero dichiarare inammissibile una «domanda reiterata» anche in situazioni in cui esse non hanno accesso a tutti gli elementi sui quali si è basata la decisione definitiva negativa adottata in relazione a una precedente domanda della stessa persona.

100. Al riguardo, rilevo tuttavia che la Repubblica federale di Germania ha giustamente sottolineato, in udienza, che, qualora manchino le informazioni relative alla procedura di asilo condotta nello Stato membro A, i diritti dei richiedenti saranno comunque tutelati poiché lo Stato membro B dovrà di fatto dichiarare ammissibili le loro domande reiterate. Infatti, in tali circostanze, detto Stato membro non sarà in grado di escludere che «siano emersi o (…) siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale» e che la seconda delle due condizioni espresse di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 (53) non sia soddisfatta.

101. Come ho spiegato nelle mie conclusioni nella causa Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (54), l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che, se gli Stati membri hanno la facoltà di respingere le domande reiterate in quanto inammissibili, tale possibilità è concessa alle autorità nazionali competenti soltanto qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente siffatti «elementi o risultanze nuovi». Qualsiasi incertezza quanto al rispetto di tale condizione (a causa di una mancanza di informazioni o per qualsiasi altra ragione) deve essere interpretata a favore dell’interessato e comportare l’ammissibilità della «domanda reiterata».

102. Contrariamente alla Commissione, ritengo quindi, al pari della Repubblica federale di Germania, che carenze di informazione sulla precedente procedura di asilo espletata in un primo Stato membro (Stato membro A) non possano pregiudicare il trattamento della «domanda reiterata» dello stesso in un secondo Stato membro (Stato membro B). Si tratta di una limitazione importante, che condiziona la possibilità, per le autorità dello Stato membro di cui trattasi, di dichiarare inammissibile tale domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32.

103. Esiste, a mio avviso, una seconda limitazione, anch’essa derivante dalla condizione che «non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale».

104. Come ho già indicato al paragrafo 66 delle presenti conclusioni, nella sua recente sentenza Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (55), la Corte ha adottato un’interpretazione estensiva della nozione di «elemento nuovo». Infatti, essa ha confermato che detta nozione comprende non solo elementi di fatto, ma anche elementi di diritto, ivi compresa una sentenza della Corte di cui la precedente decisione non aveva tenuto conto, indipendentemente dalla questione se una siffatta sentenza sia stata pronunciata prima o dopo l’adozione della decisione relativa alla domanda precedente.

105. A mio avviso, dalla sentenza in esame (56) risulta che gli organi giurisdizionali o le competenti autorità dello Stato membro B non potrànno in ogni caso respingere in quanto inammissibile, a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa, una «domanda reiterata» presentata dinanzi ad essi, qualora vi siano dubbi riguardo al fatto che la decisione definitiva con cui lo Stato membro A ha respinto una precedente domanda della stessa persona non abbia tenuto conto di un sentenza della Corte rilevante ai fini della qualificazione del richiedente quale beneficiario di protezione internazionale. Si tratta di un’altra importante limitazione che contribuisce a garantire un elevato livello di protezione dei richiedenti asilo.

106. In tale contesto, contrariamente al governo francese e alla Commissione, ritengo che la soluzione che propongo alla Corte di adottare crei un giusto equilibrio tra la necessità di limitare i «movimenti secondari» e di alleviare l’onere amministrativo a carico delle autorità competenti degli Stati membri, da un lato, e l’importanza di garantire la tutela dei diritti dei richiedenti, dall’altro.

107. Infine, ammetto di concordare con le parti interessate sul fatto che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa, non potrebbe essere interpretato nel modo che suggerisco se una siffatta interpretazione privasse la «procedura di ripresa in carico» (di cui ho descritto gli elementi essenziali nella precedente sezione A.1) della sua finalità o della sua utilità.

108. A tal riguardo, ricordo tuttavia in primo luogo che la soluzione che propongo alla Corte di adottare è destinata ad applicarsi solo se lo Stato membro B diventa lo Stato membro competente in luogo dello Stato membro A, vale a dire unicamente nelle situazioni in cui il regolamento Dublino III consente effettivamente un trasferimento della competenza dallo Stato membro A allo Stato membro B e in cui una «procedura di ripresa in carico» non è avviata o non va a buon fine. L’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 conferma la limitazione di cui trattasi, poiché esso stabilisce che i motivi di inammissibilità elencati all’articolo 33, paragrafo 2, lettere da a) ad e), della medesima direttiva consentono agli Stati membri di dichiarare inammissibili le domande di protezione internazionale in determinati casi, che si aggiungono (ma non si sostituiscono) a quelli «in cui una domanda non è esaminata a norma del [regolamento Dublino III]» (57).

109. In secondo luogo, ritengo che l’interpretazione in parola non potrebbe rendere irrilevante o inutile la «procedura di ripresa in carico» descritta nel regolamento di cui trattasi. A tal riguardo, è vero che lo Stato membro B, investito di una «domanda reiterata» presentata dopo l’adozione di una decisione definitiva nello Stato membro A in relazione a una precedente domanda della stessa persona, può trovare più semplice evitare le complicazioni della «procedura di ripresa in carico» (con le sue varie fasi e i suoi termini rigorosi) e avvalersi piuttosto della clausola discrezionale di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento in questione. In una siffatta ipotesi, lo Stato membro B potrebbe, anzitutto, dichiararsi «competente» per l’esame della «domanda reiterata» e, successivamente, dichiarare tale domanda inammissibile a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa, senza prima emettere una «richiesta di ripresa in carico» basandosi sulla «procedura di ripresa in carico» nonché sul meccanismo di trasferimento istituito dal regolamento Dublino III (58).

110. Tuttavia, non sono sicuro che l’ipotesi di cui trattasi sarà necessariamente accolta con favore dallo Stato membro B. Infatti, affinché le autorità di detto Stato membro possano dichiarare inammissibile una «domanda reiterata» conformemente a tali disposizioni, esse devono anzitutto rispettare tutte le fasi della specifica procedura che si applica alle «domande reiterate», descritte all’articolo 40 della direttiva 2013/32.

111. Al riguardo, i paragrafi 2 e 3 del suddetto articolo indicano, come recentemente confermato dalla Corte (59), che, in sede di esame dell’ammissibilità di una domanda reiterata, le autorità competenti degli Stati membri devono, in sostanza, seguire una procedura in due fasi. In primo luogo, esse devono sottoporre la domanda reiterata a un esame preliminare (articolo 40, paragrafo 2). Nel corso di tale esame preliminare, esse devono accertare se sussistano uno o più «elementi nuovi» rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale dell’interessato. In caso affermativo, in secondo luogo, l’esame dell’ammissibilità della domanda reiterata prosegue, ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 3, di tale direttiva, il quale impone a tali autorità di stabilire se i nuovi elementi «aument[i]no in modo significativo la probabilità» che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria. Considerata nel suo insieme, detta procedura richiede ancora tempo e risorse amministrative. Inoltre, essa è accompagnata da un certo numero di obblighi che incombono allo Stato membro nei confronti del richiedente e da una serie di diritti che quest’ultimo può esercitare (compreso, se del caso, il diritto di impugnare la decisione di inammissibilità (60)).

112. Inoltre, esiste sempre la possibilità che, al termine della procedura descritta all’articolo 40, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32, le autorità competenti degli Stati membri concludano nel senso dell’ammissibilità della «domanda reiterata». Infatti, qualora esistano uno o più «elementi nuovi», dette autorità non hanno la facoltà di dichiarare inammissibile la domanda reiterata. Al contrario, esse devono esaminarla nel merito e assicurarsi che tale esame sia conforme ai principi fondamentali e alle garanzie elencati nel capo II della medesima direttiva (61).

113. Alla luce di tali elementi, ritengo che la soluzione che propongo alla Corte di adottare non rischi di compromettere l’efficacia della «procedura di ripresa in carico» prevista dal regolamento Dublino III. Al contrario, a mio avviso, la soluzione in parola potrebbe effettivamente contribuire a rafforzare detta procedura, nell’ipotesi in cui lo Stato membro B se ne avvalga.

114. Vorrei illustrare il punto in esame. Se lo Stato membro B non avesse la facoltà di dichiarare inammissibile, a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa, la «domanda reiterata» di un richiedente che ha in precedenza chiesto protezione internazionale in un altro Stato membro, lo Stato membro B potrebbe o avviare fruttuosamente una «procedura di ripresa in carico» e rinviare il richiedente nello Stato membro A oppure procedere a un esame completo di tale domanda nel merito. In un’ipotesi del genere, cosa farebbe il richiedente? A mio avviso, quest’ultimo tenterebbe di resistere opponendosi quanto più possibile a un suo rinvio nello Stato membro A, al fine di massimizzare le possibilità di un nuovo esame completo della sua situazione nello Stato membro B, in caso di mancato trasferimento. D’altra parte, se lo Stato membro B avesse la possibilità di dichiarare inammissibile, conformemente a dette disposizioni, la «domanda reiterata», il richiedente potrebbe non opporre tale resistenza. Nel complesso, ciò potrebbe in definitiva aumentare le possibilità di successo della procedura di «ripresa in carico» e del meccanismo di trasferimento istituito dal legislatore dell’Unione nel regolamento Dublino III.

115. A titolo di osservazione finale, desidero ricordare ancora una volta che l’interpretazione che propongo alla Corte di adottare semplicemente apre agli Stati membri una possibilità di adottare disposizioni che consentano di dichiarare inammissibili le “domande reiterate” che vengano presentate loro dopo che una precedente domanda della stessa persona sia stata respinta con decisione definitiva in un altro Stato membro (in presenza delle condizioni poste dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), e dall’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/31, ma non li obbliga affatto ad agire in tal senso.

VI.    Conclusione

116. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden, Germania) come segue:

(1)      L’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q, della stessa,

deve essere interpretato nel senso che il solo fatto che la procedura di asilo relativa a una precedente domanda di protezione internazionale dell’interessato si sia conclusa con una decisione di sospensione adottata sulla base dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 non costituisce, di per sé, un impedimento a che una domanda presentata successivamente dalla stessa persona sia considerata una «domanda reiterata» ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della medesima direttiva. Tuttavia, non si può ritenere che una siffatta domanda rientri nell’ambito di applicazione di detta disposizione e il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32 non può applicarsi, se la decisione di sospendere la procedura di asilo relativa alla domanda precedente non è ancora stata adottata o se l’interessato ha ancora la possibilità di riprendere la procedura. Al riguardo, l’articolo 28, paragrafo 2, di tale direttiva dispone che «[g] li Stati membri possono prevedere un termine di almeno nove mesi», durante cui la procedura può essere ripresa. Spetta agli Stati membri, nell’ambito del loro ordinamento nazionale, decidere quale sia tale termine, purché esso non sia inferiore al minimo di nove mesi fissato da tale disposizione.

(2)      L’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), della stessa,

deve essere interpretato nel senso che tali disposizioni possono essere invocate nell’ipotesi in cui uno Stato membro diverso dallo Stato membro che ha adottato la decisione definitiva relativa a una precedente domanda di protezione internazionale dell’interessato divenga lo Stato membro competente per l’esame di una nuova domanda presentata dallo stesso [in base ai criteri enunciati nel regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide]. Dette disposizioni consentono allo Stato membro competente di dichiarare inammissibile la nuova domanda, per il motivo che essa costituisce una «domanda reiterata» ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della medesima direttiva, e che la procedura di asilo relativa alla precedente domanda dell’interessato si è già conclusa con una decisione definitiva nell’altro Stato membro. Tale possibilità è, tuttavia, sottoposta alla condizione, espressamente enunciata all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, che «non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale».


1      Lingua originale: l’inglese.


i      Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).


3      V. sentenze del 20 maggio 2021, L.R. (Domanda di asilo respinta dalla Norvegia) [C‑8/20, EU:C:2021:404; in prosieguo: la «sentenza L.R. (Domanda di asilo respinta dalla Norvegia)»], e del 22 settembre 2022, Bundesrepublik Deutschland (Domanda di asilo respinta dalla Danimarca) [C‑497/21, EU:C:2022:721; in prosieguo la «sentenza Bundesrepublik Deutschland (Domanda di asilo respinta dalla Danimarca)»].


4      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»).


5      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).


6      V. sentenza del 10 dicembre 2013, Abdullahi (C‑394/12, EU:C:2013:813, punto 53).


7      V. articolo 3, paragrafo 1, del regolamento Dublino III: «[u]na domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro».


8      Vale a dire i movimenti di richiedenti da uno Stato membro all’altro, una volta che essi abbiano già raggiunto il territorio dell’Unione europea, il che può essere motivato, tra l’altro, da differenze tra i sistemi giuridici o le condizioni di accoglienza e di vita.


9      Ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), del regolamento Dublino III, lo Stato membro competente è altresì tenuto a prendere in carico (e non a riprendere in carico), alle condizioni specificate negli articoli 21, 22 e 29 di tale regolamento, il richiedente che ha presentato domanda in un altro Stato membro prima che la sua domanda sia esaminata nello Stato membro competente. Tuttavia, la situazione in parola non corrisponde a quelle oggetto del procedimento principale.


10      V. articolo 23, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, il quale stabilisce che una «richiesta di ripresa in carico» deve essere presentata entro due mesi dal ricevimento di una risposta pertinente Eurodac. Se la richiesta è basata su prove diverse dai dati ottenuti dal sistema Eurodac, essa deve essere inviata entro tre mesi dalla data di presentazione della «domanda reiterata».


11      V. articolo 23, paragrafo 3, di detto regolamento.


12      V. articolo 25, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Come specifica l’articolo 25, paragrafo 5, dello stesso, se lo Stato membro A non risponde in tempo utile alla «richiesta di ripresa in carico», lo Stato membro B non diventa lo Stato membro competente. Piuttosto, si ritiene che l’assenza di risposta da parte dello Stato membro A equivalga all’accettazione della richiesta.


13      V. articolo 29, paragrafo 2, di detto regolamento.


14      Il corsivo è mio. Ne consegue che lo Stato membro B può sempre decidere di non avviare una «procedura di ripresa in carico» e di esaminare esso stesso la domanda che gli è stata presentata. Tale interpretazione è stata confermata dalla Corte, che ha dichiarato che le autorità di uno Stato membro in cui la nuova domanda è presentata hanno la facoltà (e non l’obbligo), ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, di formulare una «richiesta di ripresa in carico» dell’interessato (v. sentenza del 5 luglio 2018, X, C‑213/17, EU:C:2018:538, punto 33).


15      La disposizione di cui trattasi stabilisce, in sostanza, che una procedura di asilo può essere sospesa in caso di ritiro implicito della domanda o di rinuncia ad essa da parte dell’interessato.


16 Infatti, detta disposizione presuppone che tale domanda sia presentata «dopo che è stata adottata una decisione (…) su una domanda precedente».


17      Il corsivo è mio.


18      V., a tal riguardo, le mie conclusioni nella causa Valstybės sienos apsaugos tarnyba e a. (C‑72/22 PPU, EU:C:2022:431, paragrafi 57 e 58).


19      Il corsivo è mio.


20      L’interpretazione di cui trattasi è corroborata dall’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, da cui risulta, in sostanza, che se il richiedente è rinviato nello Stato membro A (lo Stato membro che ha interrotto la procedura di asilo riguardante una precedente domanda dell’interessato), tale Stato membro non tratta una siffatta «nuova» domanda come una «domanda reiterata» (come previsto dalla direttiva 2013/32) e deve esaminarla.


21      Aggiungo che una domanda presentata nello Stato membro B prima della scadenza del termine entro il quale il richiedente può riprendere la procedura di asilo nello Stato membro A in relazione alla sua domanda precedente, non può mai essere considerata una «domanda reiterata». La data rilevante è, come ho spiegato, quella della presentazione della domanda. Pertanto, lo Stato membro B non può limitarsi ad attendere la scadenza di tale termine per poi «riclassificare» la domanda come «domanda reiterata» e dichiararla inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32.


22      V. paragrafo 45 delle presenti conclusioni.


23      V. il considerando 18 della direttiva 2013/32, che impone alle autorità competenti di svolgere un esame adeguato e completo, e il considerando 43 della medesima, il quale enuncia che «[g]li Stati membri dovrebbero esaminare tutte le domande nel merito, valutare cioè se al richiedente di cui trattasi è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale (…)», salvo che tale direttiva disponga altrimenti. V., altresì, sentenza dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (C‑216/22, EU:C:2024:122, punto 34).


24      V. le mie conclusioni nella causa Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (C‑216/22, EU:C:2023:646, paragrafo 31). V. altresì, a tal riguardo, sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa) (C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 29 e giurisprudenza citata).


25      V., rispettivamente, punti 40 e 46 delle sentenze nella causa L.R. (Domanda di asilo respinta dalla Norvegia) e nella causa Bundesrepublik Deutschland (Domanda di asilo respinta dalla Danimarca).


26      V. sentenza dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (C‑216/22, EU:C:2024:122, punti da 34 a 37).


27 Una situazione in cui, cioè, la domanda era stata presentata da un minore nello Stato membro in cui si trovava, dopo che una sua domanda identica precedente era stata respinta con decisione definitiva in un altro (primo) Stato membro.


28      V. articolo 25 della direttiva del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13).


29      V. sentenza del 6 giugno 2013, MA e a. (C‑648/11, EU:C:2013:367, punti 63 e 64). Concordo tuttavia con la Commissione sul fatto che, nella sentenza in questione, la Corte non ha precisato le ragioni per le quali riteneva che l’articolo 25 della direttiva 2005/85 potesse essere invocato dal secondo Stato membro in una situazione del genere.


30      V. sentenza del 13 giugno 2024, Zamestnik-predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite (Status di rifugiato – Apolidi di origine palestinese) (C‑563/22, EU:C:2024:494, punto 57).


31      Il medesimo ragionamento può, a mio avviso, essere applicato all’articolo 41, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2013/32, che, esattamente come l’articolo 40, paragrafo 1, della stessa, fa specifico riferimento a «un’altra domanda reiterata nello stesso Stato membro». A tale proposito, concordo con la Repubblica federale di Germania sul fatto che, se il legislatore dell’Unione avesse interpretato la nozione di «domanda reiterata», impiegata nell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, in modo da comprendere domande presentate solamente nello stesso Stato membro, non avrebbe ritenuto necessario, all’articolo 40, paragrafo 1 e all’articolo 41, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, ma non in altre disposizioni del medesimo strumento, utilizzare la specifica espressione «nello stesso Stato membro».


32      Ricordo che l’articolo 40, paragrafo 7, della direttiva 2013/32 dispone che, «[s]e una persona nei cui confronti deve essere eseguita una decisione di trasferimento ai sensi del regolamento [Dublino III] rilascia ulteriori dichiarazioni o reitera la domanda nello Stato membro che provvede al trasferimento, le dichiarazioni o domande reiterate sono esaminate dallo Stato membro competente ai sensi di detto regolamento, conformemente alla presente direttiva» (il corsivo è mio).


33      A tal riguardo, aggiungo che, nella sua proposta di regolamento che sostituisce la direttiva 2013/32, la Commissione, al fine di chiarire la procedura riguardo al trattamento delle domande reiterate, ha definito queste ultime come le domande «presentate dallo stesso richiedente in qualsiasi Stato membro» dopo il rigetto di una precedente domanda con decisione definitiva. La proposta in parola fornisce, a mio avviso, altri indizi del fatto che, già nell’ambito della direttiva 2013/32, la nozione di «domanda reiterata» include una domanda presentata dinanzi a uno Stato membro diverso da quello che ha adottato la decisione definitiva su una precedente domanda della stessa persona [v. articolo 42, paragrafo 1, della «proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale e abroga la direttiva 2013/12/UE» [COM(2016) 467 final], disponibile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52016PC0467]. Per quanto riguarda l’ultimo elemento del processo legislativo, quale era disponibile al momento dell’elaborazione delle presenti conclusioni, v. articolo 4, lettera s), e articolo 39, paragrafo 2, del progetto di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE, documento del Consiglio e del Parlamento europeo [2016/0224/A (COD) e PE-CONS 16/24 del 26 aprile 2024].


34      Sentenza del 19 marzo 2019 (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 58).


35      Ibidem, punto 85.


36      V., più in generale, sul principio del riconoscimento reciproco nel settore del diritto di asilo, conclusioni dell’avvocato generale Medina nella causa Bundesrepublik Deutschland (Effetti di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato) (C‑753/22, EU:C:2024:82, paragrafo 45).


37      V. conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Generalstaatsanwaltschaft Hamm (Domanda di estradizione di un rifugiato verso la Turchia) (C‑352/22, EU:C:2023:794, paragrafo 65). Per un esempio in cui il legislatore dell’Unione ha adottato un siffatto quadro di riconoscimento reciproco nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, v. decisione quadro 2008/909/JHA del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea (GU 2008, L 327, pag. 27), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/JHA del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24).


38      Aggiungo che, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2013/32, «[g]li Stati membri possono introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli in ordine alle procedure di riconoscimento e revoca dello status di protezione internazionale, purché tali criteri siano compatibili con [detta] direttiva».


39      V. conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa EU:C:2023:794 (Domanda di estradizione di un rifugiato verso la Turchia) (C‑352/22, EU:C:2023:794, paragrafo 64).


40      A tal riguardo, aggiungo che, nell’ambito dell’esame preliminare volto a stabilire l’ammissibilità della «domanda reiterata», gli Stati membri non sono tenuti a svolgere un colloquio personale con il richiedente [v. articolo 42, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2013/32].


41      V. articolo 31, paragrafo 8, lettera f), della direttiva 2013/32.


42      V. articolo 41, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.


43      V. articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2013/32. V., altresì, articolo 7, paragrafo 4, e articolo 11, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).


44      V., a tal riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nella causa Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Domanda reiterata di protezione internazionale) (C‑18/20, EU:C:2021:302, paragrafi da 77 a 79).


45      I fatti di cui trattasi nel procedimento principale nella causa C‑123/23 lo illustrano effettivamente. La Repubblica federale di Germania ha spiegato in udienza che, poiché l’Ufficio federale aveva anzitutto chiesto alle autorità spagnole di riprendere in carico i richiedenti, nel momento in cui ha effettuato lo stesso tentativo nei confronti delle autorità belghe era troppo tardi per presentare una «richiesta di ripresa in carico».


46      C‑216/22, EU:C:2023:646 (paragrafi da 51 a 53).


47      V. sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 186).


48      V., in particolare, sentenza del 9 settembre 2021, Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Domanda reiterata di protezione internazionale) (C‑18/20, EU:C:2021:710, punto 43).


49      C‑216/22, EU:C:2023:646 (paragrafo 29).


50      V., in particolare, considerando 18 della direttiva 2013/32, secondo cui «[è] nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo» (il corsivo è mio). V., altresì, considerando 25 della medesima direttiva, il quale indica che «è opportuno che ciascun richiedente abbia un accesso effettivo alle procedure».


51      V. considerando 3 della direttiva 2013/32.


52      Il corsivo è mio.


53      V. paragrafo 64 delle presenti conclusioni.


54      C‑216/22, EU:C:2023:646 (paragrafo 29).


55      Sentenza dell’8 febbraio 2024 (C‑216/22, EU:C:2024:122, punti da 38 a 40).


56      Ibidem.


57      Inoltre, l’articolo 40, paragrafo 7, della direttiva 2013/32 precisa che la «procedura di ripresa in carico» si applica, in realtà, alle «domande reiterate» presentate in altri Stati membri.


58      Aggiungo che, nella sua proposta di regolamento che sostituisce il regolamento Dublino III, la Commissione ha indicato che già nel 2014, nell’Unione, solo un quarto circa del numero totale di richieste di presa in carico e di ripresa in carico accolte dallo Stato membro competente sfociava effettivamente in un trasferimento [v. pag. 11 della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide [COM (2016) 270 final], disponibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM:2016:0270:FIN.


59      V. sentenza del 10 giugno 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Elementi o risultanze nuovi) (C‑921/19, EU:C:2021:478, punti da 34 a 37).


60      In particolare, se le autorità competenti concludono che la domanda reiterata è inammissibile, devono informare il richiedente delle ragioni di tale esito (a norma dell’articolo 42, paragrafo 3, della direttiva di cui trattasi) e lo stesso deve altresì avere la possibilità di esercitare il suo diritto a un ricorso effettivo avverso la decisione delle autorità competenti dinanzi a un giudice (v. articolo 46, paragrafo 1, della stessa).


61      V. articolo 40, paragrafo 3, della direttiva 2013/32.

OSZAR »
OSZAR »